venerdì 8 marzo 2013

American Punk Hardcore


American Punk Hardcore
Una storia tribale
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di Steven Blush
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saggio, 464 pag.
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€ 17,00
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ShaKe Edizioni
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"...la brutalità come forma d'arte" 
(Glenn Danzig - American Punk Hardcore, di S. Blush)



Un poderoso libro sull'hardcore punk americano scritto da uno che "c'era" (e, a quanto pare, c'è ancora) e che ha vissuto la scena in modo tutt'altro che marginale: In Italia, fino ad oggi, non c'era niente del genere e mancava, eccome se mancava!
Nonostante l'incredibile impatto che l'hardcore punk ebbe a livello musicale, è però sempre stato un fenomeno sottovalutato e che rischia di essere dimenticato, quando non mitizzato per usi e consumi molto personali.
Jello Biafra
Dall'hardcore derivano - o meglio: senza l'hardcore probabilmente non ci sarebbero stati - la stragrande maggioraza dell'attuale cosiddetto "indie rock" americano, dal grunge in poi; lo speed-metal e, appunto, l'hardcore metal oltre che il discusso "crossover".

"Scene" hardcore sono state presenti, magari men che minuscole, in quasi ogni Paese del mondo.
Qui da noi ognuno/a ha scritto il suo pezzettino di storia dell'hardcore italiano, ma non si può né si deve ignorare da dove prendemmo i modelli, le ispirazioni, molti miti e la maggior parte degli stilemi. 

Non c'è nulla di male: l'hardcore "storico" italiano è stato pazzesco, senza nulla da invidiare a nessuno in quanto a intensità, è stato creativo e pieno di idee, ma è evidente che tutti guardassimo agli USA - beninteso, non solo per imitare, anche per criticare - perché proprio da lì era arrivata quella nuova, amfetaminica, diversaultraveloce forma di punk.

Una storia dell'hardcore americano, dunque la Madre di tutto l'Hardcore, ora che finalmente c'è, può essere utilmente usata per confrontare e contestualizzare.
Operazioni, queste ultime, utilissime per rileggere con occhio più smaliziato e meno emotivamente incline alla nostalgia (alla quale, per carità!, da queste parti si conferisce il massimo della cittadinanza, ma che ogni tanto è bene frenare un momento per pensare meglio...).

Non è possibile, perlomeno: per me non lo è stato, leggere American Punk Hardcore senza ripensare nel modo più crudo possibile - non per questo meno affettuoso - a un momento storico italiano che, più passa il tempo, più diventa un affastellamento di dolci ricordi con molti tarallucci e troppo vino.

Beninteso: il libro, 464 pagine che si bevono d'un fiato, si regge benissimo da sé ed è fruibile da chiunque sia anche solo un minimo incuriosito dall'argomento.
Il metodo di scrittura di Steven Blush è denso e coinvolgente: alle sue considerazioni e ai suoi racconti, fatti senza alcun pelo sulla lingua né ombra di politically correct, si alternano centinaia di dichiarazioni, ricordi, rivelazioni dei protagonisti dell'epoca. Da Ian McKaye (Minor Threat) a Al Barile (SS Decontrol), da Jello Biafra (Dead Kennedys) a Joe Shithead (D.O.A.), dai semplici kids delle varie scene locali a discografici e distributori.
Ognuno racconta il proprio pezzo di storia, autentico!, e tutti lo fanno con una lucidità più che cruda: crudele; senza carinerie di sorta, senza pillole indorate, spesso con veleni sputati e rancori non del tutto sopiti.
E' un bellissimo libro, ma oh, non è un libro grazioso. Non è la "storia del tal o talaltro sottogenere rock" scritta dal giornalista taldeitali.

MDC
"Ho visto i Clash nel tour di Give'en Enough Rope ed erano solo un tot di rockstar in carriera. [...] Non era diverso da un normale concerto rock, a parte i capelli. Ho visto i Ramones e ho avuto l'impressione che avessero cent'anni per gamba. Non era ancora la nostra storia. I Black Flag erano la nostra storia." (Barry Hennsler, Necros - op. cit.)

Leggende che si sussurravano vengono qui confermate, come ad esempio la stronzaggine dei Bad Brains.
Miti che avevamo costruito su pii desideri vengono qui smontati: dallo scoprire che alcune "scene" erano composte da non più di 15-20 volonterosissimi (e coraggiosi) kids, all'estrazione sociale degli adepti: "Davo per scontato che quasi tutti i kids della scena fossero poveri [...] Molti erano di famiglie borghesi dei sobborghi e venivano ai concerti per il fine settimana spacciandosi per barboni." (Harley Flanagan - op. cit.).

Una cosa che colpisce è l'incredibile dose di violenza che i kids americani, tranne rarissime eccezioni, hanno dovuto subire negli anni tra il 1979 e il 1986, anno di "morte" dell'hardcore punk. Essere hardcore, suonare hardcore, anche soltanto andare in giro agghindati in modi non usuali, equivaleva a cercare guai, spesso grossi. Partecipare a un concerto hardcore poteva voler dire rischiare la vita.
La polizia americana, nota per proteggere e servire, perseguitava letteralmente i kids, sempre comunque e dovunque, andandoci giù pesantissima. D'accordo: che la polizia sia brutale e repressiva non è esattamente una novità; lo è il sapere che in America ogni concerto hardcore era "a rischio".

Altri miti sfatati: l'unità della scena americana, che a quanto pare non è mai esistita se non nelle speranze di qualcuno; gli straight-edge "puri" in pubblico e strafatti in privato. Scoperte davvero molto interessanti, anche se talvolta non esattamente indolori.
Eppoi, nel mio capitolo preferito - Everything Falls Apart / Tutto cade a pezzi - la cruda, scarnificata analisi del come e del perché tutto è, appunto, caduto a pezzi. 

Da citare almeno Jello Biafra dei Dead Kennedys: "La parte più triste del mito che sia esistita un'epoca d'oro dell'hardcore è che la gente ci crede, soprattutto quelli che c'erano davvero [...] e ricade nella stessa nostalgia lacrimosa che ci ha regalato Happy Days. [...] Per me la nostalgia è veleno."
Già...

Bad Brains
Un libro doloroso e illuminante sia per chi c'era che per chi era troppo giovane per esserci, oppure era già grande ma non voleva esserci.
Al termine del volume, che non lo si è ancor detto ma contiene anche una documentazione iconografica eccellente e imperdibile per comprendere ancor meglio l'hardcore, una fondamentale, e monumentale!, discografia. 

Poco prima della discografia, una postfazione tutta autoctona: "Kina. Storia di una band italiana", di Sergio e Giampiero. I Kina non puoi che ricordarli con enorme affetto. La loro postfazione, in barba alla dichiarazione di Jello Biafra citata poco sopra, mi ha fatto versare più di una lacrima... 'fanculo!

Non poteva che essere la ShaKe Edizioni di E. "Gomma" Guarneri a pubblicare questo tomo importante, è naturale che sia così.
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"Per suonare l'hardcore non hai bisogno di strofe e ritornelli, non hai bisogno di assoli, non hai bisogno di un cazzo!"
(Mike Watt, Minutemen - op. cit.)


Orlando Furioso - aprile 2007